Dopo la rivoluzione francese sentì che i suoi vecchi amici giacobini avevano tradito anche il suo femminismo
CASERTA - Maria Carolina d’Asburgo, moglie di Ferdinando IV di Borbone, femminista ante litteram? Potrebbe essere questa la chiave giusta per capire meglio il doppio volto del lungo regno dei due sovrani del Regno di Napoli. Prima il riformismo, poi la controriforma, quindi la cruenta reazione dopo la rivoluzione del 1799 che Vincenzo Cuoco definì «passiva e senza popolo».
Il femminismo potrebbe aiutare a capire meglio dal momento che la figlia di Maria Teresa d’Austria fu femminista ben prima della pubblicazione delle opere di Harriet Taylor (moglie di John Stuart Mill) come «Sul matrimonio e il divorzio» (1832 1833), «Sul matrimonio» (1932 - 1833), «L’emancipazione delle donne» (1851) e «L’asservimento delle donne» (1861). Riporto le date perché sono importanti: è del 1789, infatti, l’uscita in 150 esemplari del testo «Origine della popolazione di S. Leucio e suoi progressi fino al giorno d'oggi colle leggi corrispondenti al buon governo di essa».
A firmare il testo è Ferdinando, ma l’autore del «Codice delle leggi» fu probabilmente il giurista e massone Antonio Panelli, protetto da Carolina, però non c’è dubbio che chi volle, ispirò e guidò la scrittura del Codice fu proprio Maria Carolina perché in quei cinque capitoli e ventidue paragrafi va in scena «una rivoluzione giuridica in chiave di genere» che non sembra abbia precedenti nella storia della cultura occidentale. Leggendo lo Statuto leuciano si ha l’impressione che l’eguaglianza è rivendicata soprattutto al fine di affermare l’eguaglianza tra donne e uomini e l’eguaglianza di genere è al centro della Colonia di San Leucio e del suo sistema familiare ed economico. Se si considera che la Rivendicazione dei diritti della donna della prima scrittrice femminista dell'età moderna, Mary Wollstonecraft, fu pubblicata a Londra nel 1792, si capisce perché si potrebbe con legittimità definire Maria Carolina «la prima femminista moderna». Ma poi venne il Novantanove con tutto ciò che comportò: la dura reazione e il sangue a fiumi. La studiosa italiana più versata nella conoscenza della vita, del pensiero e dell’opera di Maria Carolina è la storica Nadia Verdile (insegna materia umanistiche proprio a San Leucio ed è cultrice della materia presso la Federico II) che ha dedicato alla «politica» della moglie di Ferdinando Re Nasone non pochi saggi e tra questi anche la pubblicazioni di lettere inedite dei due sovrani: Un anno di lettere coniugali. Da Caserta «il carteggio inedito di Ferdinando IV con Maria Carolina» (Spring Edizioni 2008) e «Caspita qui non si scherza! Lettere da Capri di Ferdinando IV a Maria Carolina» (Spring Edizioni 2009).
Ora è uscito «Utopia sociale, Utopia economica». Le esperienze di San Leucio e di New Lanark (Danape) - con prefazione di Ruggero Guarini - e si confrontano le due «comunità utopiche»: quella casertana che produceva seta e quella scozzese che produceva cotone e che fu al centro dell’esperienza educativa di Robert Owen. Tuttavia, il termine utopia - le sete di San Leucio, famose nel mondo, si possono trovare alla Casa Bianca, al Cremlino, al Quirinale - può essere sviante. Nel caso dello Statuto leuciano, infatti, al di là dell’esperienza comunitaria ed economica, si dovrebbe meglio parlare di anticipazione dello spirito dei tempi. La lettura in chiave di genere che Nadia Verdile fa - parità tra uomini e donne, diritto delle donne all’istruzione, alla successione, alla proprietà, alla casa, alla tutela in caso di bisogno - rende giustizia a una sovrana che è passata alla Storia come una «donna crudele e sanguinaria», mentre la sua visione dell’emancipazione delle donne oggi è realtà. Scrive la studiosa: «Incredibilmente moderno, antesignano di un femminismo futuro che rivendicherà il diritto all’autodeterminazione, nella Colonia di San Leucio, la scelta matrimoniale non solo non spettava alle famiglie ma esclusivamente alle donne!». I convincimenti così moderni di Carolina - leggeva e scriveva quattro lingue, figlia della più illuminata delle imperatrici ed educata a governare - furono il frutto dei primi venti anni del suo regno sui quali, però, poco o nulla si indaga. Ciò che interessa è quasi sempre il dopo: la reazione, non la riforma. Eppure, la cruenta reazione, il passaggio dall’illuminismo all’oscurantismo, dalla luce alle tenebre - per dirla con enfasi - non si capisce al meglio se non si considera proprio l’«utopia sociale» di Carolina: si sentì colpita nei suoi più profondi convincimenti di riforma dai suoi «amici giacobini» (oltre che dalla testa mozzata della sorella Maria Antonietta in Francia). Sentì tradite le idee e il suo femminismo: la rivoluzione tradiva la riforma. La Rivoluzione francese le sembrò giusta («Mi pare abbiano ragione» le fa dire Croce nella Storia del Regno di Napoli ), ma quando i Lumi si oscurarono per troppa luce e subentrò il Terrore, Maria Carolina passò - come nota giustamente il buon Guarini - «dal tempo del sogno illuminista al tempo dell’odio e del disprezzo (motivatissimi) per i suoi vecchi amici giacobini».
Giancristiano Desiderio
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