giovedì 8 marzo 2012

Maria Carolina, prima femminista del Regno delle Due Sicilie

Dopo la rivoluzione francese sentì che i suoi vecchi amici giacobini avevano tradito anche il suo femminismo


CASERTA - Maria Carolina d’Asburgo, mo­glie di Ferdinando IV di Bor­bone, femminista ante litte­ram? Potrebbe essere que­sta la chiave giusta per capi­re meglio il doppio volto del lungo regno dei due sovrani del Regno di Napoli. Prima il riformismo, poi la controriforma, quindi la cruenta reazione dopo la rivoluzione del 1799 che Vincenzo Cuoco definì «passiva e senza popolo».

Il femminismo potrebbe aiu­tare a capire meglio dal momento che la fi­glia di Maria Teresa d’Austria fu femminista ben prima della pubblicazione delle opere di Harriet Taylor (moglie di John Stuart Mill) come «Sul matrimonio e il divorzio» (1832 ­1833), «Sul matrimonio» (1932 - 1833), «L’eman­cipazione delle donne» (1851) e «L’asservimen­to delle donne» (1861). Riporto le date perché sono importanti: è del 1789, infatti, l’uscita in 150 esemplari del testo «Origine della popo­lazione di S. Leucio e suoi progressi fino al giorno d'oggi colle leggi corrispondenti al buon governo di essa».

A firmare il testo è Fer­dinando, ma l’autore del «Codice delle leggi» fu probabilmente il giurista e massone Anto­nio Panelli, protetto da Carolina, però non c’è dubbio che chi volle, ispirò e guidò la scrittura del Codice fu proprio Maria Caroli­na perché in quei cinque capitoli e ventidue paragrafi va in scena «una rivoluzione giuri­dica in chiave di genere» che non sembra ab­bia precedenti nella storia della cultura occi­dentale. Leggendo lo Statuto leuciano si ha l’im­pressione che l’eguaglianza è rivendicata so­prattutto al fine di affermare l’eguaglianza tra donne e uomini e l’eguaglianza di genere è al centro della Colonia di San Leucio e del suo sistema familiare ed economico. Se si considera che la Rivendicazione dei diritti della donna della prima scrittrice femmini­sta dell'età moderna, Mary Wollstonecraft, fu pubblicata a Londra nel 1792, si capisce perché si potrebbe con legittimità definire Maria Carolina «la prima femminista moder­na». Ma poi venne il Novantanove con tutto ciò che comportò: la dura reazione e il san­gue a fiumi. La studiosa italiana più versata nella cono­scenza della vita, del pensiero e dell’opera di Maria Carolina è la storica Nadia Verdile (in­segna materia umanistiche proprio a San Leucio ed è cultrice della materia presso la Federico II) che ha dedicato alla «politica» della moglie di Ferdinando Re Nasone non pochi saggi e tra questi anche la pubblicazio­ni di lettere inedite dei due sovrani: Un an­no di lettere coniugali. Da Caserta «il carteg­gio inedito di Ferdinando IV con Maria Caro­lina» (Spring Edizioni 2008) e «Caspita qui non si scherza! Lettere da Capri di Ferdinan­do IV a Maria Carolina» (Spring Edizioni 2009).

Ora è uscito «Utopia sociale, Utopia economica». Le esperienze di San Leucio e di New Lanark (Danape) - con prefazione di Ruggero Guarini - e si confrontano le due «comunità utopiche»: quella casertana che produceva seta e quella scozzese che produ­ceva cotone e che fu al centro dell’esperien­za educativa di Robert Owen. Tuttavia, il ter­mine utopia - le sete di San Leucio, famose nel mondo, si possono trovare alla Casa Bianca, al Cremlino, al Quirinale - può essere sviante. Nel caso dello Statuto leuciano, in­fatti, al di là dell’esperienza comunitaria ed economica, si dovrebbe meglio parlare di anticipazione dello spirito dei tempi. La lettura in chiave di genere che Nadia Verdile fa - parità tra uomini e donne, dirit­to delle donne all’istruzione, alla successio­ne, alla proprietà, alla casa, alla tutela in ca­so di bisogno - rende giustizia a una sovrana che è passata alla Storia come una «donna crudele e sanguinaria», mentre la sua visio­ne dell’emancipazione delle donne oggi è re­altà. Scrive la studiosa: «Incredibilmente moderno, antesignano di un femminismo futuro che rivendicherà il diritto all’autode­terminazione, nella Colonia di San Leucio, la scelta matrimoniale non solo non spetta­va alle famiglie ma esclusivamente alle don­ne!». I convincimenti così moderni di Caroli­na - leggeva e scriveva quattro lingue, figlia della più illuminata delle imperatrici ed edu­cata a governare - furono il frutto dei primi venti anni del suo regno sui quali, però, po­co o nulla si indaga. Ciò che interessa è qua­si sempre il dopo: la reazione, non la rifor­ma. Eppure, la cruenta reazione, il passag­gio dall’illuminismo all’oscurantismo, dalla luce alle tenebre - per dirla con enfasi - non si capisce al meglio se non si considera pro­prio l’«utopia sociale» di Carolina: si sentì colpita nei suoi più profondi convincimenti di riforma dai suoi «amici giacobini» (oltre che dalla testa mozzata della sorella Maria Antonietta in Francia). Sentì tradite le idee e il suo femminismo: la rivoluzione tradiva la riforma. La Rivoluzione francese le sembrò giusta («Mi pare abbiano ragione» le fa dire Croce nella Storia del Regno di Napoli ), ma quando i Lumi si oscurarono per troppa lu­ce e subentrò il Terrore, Maria Carolina pas­sò - come nota giustamente il buon Guarini - «dal tempo del sogno illuminista al tempo dell’odio e del disprezzo (motivatissimi) per i suoi vecchi amici giacobini».

Giancristiano Desiderio

Nessun commento:

Posta un commento